Le autorità fasciste spararono qualche colpo di arma da fuoco ferendo alcune donne, le quali non indietreggiarono, costringendo così il Presidente del Tribunale militare a ricevere una delegazione di manifestanti. La delegazione uscì dalla caserma dopo aver ottenuto l’impegno, da parte del Presidente del Tribunale, di commutare la pena di morte in alcuni anni di detenzione, previo consenso del Prefetto di Forlì.
Il corteo delle scioperanti si diresse allora verso il Palazzo del Governo (l’attuale prefettura), dove il Prefetto, dietro pressione popolare, dovette annullare la sentenza di condanna a morte per i renitenti alla leva, commutandola in anni di detenzione dai cinque ai quattordici anni (anche se occorre dire che, di questi renitenti alla leva, purtroppo alcuni moriranno nei campi di concentramento).
Per il secondo giorno di sciopero i nazifascisti diffusero in città un volantino per far rientrare in fabbrica le lavoratrici, con le solite minacce, ma nulla ottennero e lo sciopero proseguì anche il 28 marzo.
Vale la pena ricordare che, a Forlì, si era già scioperato il 17 e 18 febbraio 1944 contro il divieto di circolazione in bicicletta (unico modo per andare a lavorare per la massima parte dei lavoratori) e gli scioperi erano riusciti ad ottenere l’annullamento del decreto fascista. Questa vittoria diede sicuramente nuova forza e fiducia nel preparare la mobilitazione dello sciopero di marzo.
Per la Resistenza forlivese quella fu una giornata molto importante, una dimostrazione di forza espressa dal movimento antifascista contro la dittatura fascista e l’occupazione nazista; e questo, si noti bene, in quella che veniva definita propagandisticamente la “Città del duce”.
Durante il nostro percorso, abbiamo ricordato anche altre azioni partigiane, come quella avvenuta all’angolo tra Corso Garibaldi all’altezza di Via Bufalini, dove il percorso delle scioperanti passava nel punto esatto in cui i gappisti forlivesi il 24 dicembre 1943 portarono a segno la prima azione armata in città, quando verso le ore 20 tre appartenenti ai GAP aprirono il fuoco contro la pattuglia di ronda mista di militi e poliziotti, ferendone due, facendo poi perdere le loro tracce.
Oppure quella del 2 agosto 1944 quando fu portata a segno un’azione di sabotaggio al Deposito delle corriere della Società Italiana Trasporti Automobilistici (S.I.T.A., appartenente al gruppo FIAT, in via Crispi, oggi Piazza G. Savonarola) da parte di un gruppo di circa 10 partigiani armati, che dopo aver immobilizzato il custode e tagliati i fili del telegrafo riuscirono a danneggiare una decina di automezzi con colpi di martello rendendoli inservibili, per impedire la deportazione in Germania dei prigionieri politici ed ebrei.
Passando davanti alla Colonna della Madonna del Fuoco sulla Piazza del Duomo, abbiamo poi ricordato l’ignobile e indegno voltafaccia di Mussolini. Questi, infatti, in gioventù fu socialista e anticlericale, e fu tra le persone presenti ai tumulti di piazza scoppiati a Forlì il 17 ottobre 1909 in seguito alle proteste per la fucilazione, nella Spagna clericale, dell’anarchico spagnolo Francisco Ferrer. Durante questi tumulti la colonna, simbolo religioso di Forlì, originariamente collocata in Piazza Maggiore (oggi Piazza Saffi) fu abbattuta dalla popolazione furente coi clericali. Ironia della sorte, sarà proprio il traditore di Predappio nel 1928, ormai in sintonia col Papa e capo del governo fascista, ad essere tra i promotori del Comitato d’onore che riedificò la Colonna della Madonna del Fuoco dove si trova oggigiorno.
In Piazza Saffi, abbiamo invece posto alcune plance commemorative per ricordare i partigiani Iris Versari, Silvio Corbari, Adriano Casadei e Arturo Spazzoli, catturati da nazisti e fascisti a Ca’ Cornio, nelle colline fra Modigliana e Tredozio e poi uccisi ed esibiti a Casatrocaro, prima di essere appesi ai lampioni di piazza Saffi il 18 agosto 1943, alla vista di tutta la cittadinanza in segno di disprezzo e per seminare il terrore. Qui i nazifascisti condussero anche il partigiano Tonino Spazzoli che, dopo essere stato torturato in carcere venne costretto ad assistere alla macabra esposizione del cadavere del fratello, per poi essere ucciso a sua volta il giorno seguente, nei pressi di Coccolia, località in cui era nato.
La brigata nota col nome di Banda Corbari, che spesso e volentieri operava autonomamente dal CNL gettando lo scompiglio tra le fila nazi-fasciste, riuscì ad impiegare fino a 140 elementi, per la maggior parte giovani, e poté contare sulla protezione e la simpatia di gran parte della popolazione della zona in cui operava, che si estendeva fra i paesi e le colline tra Sadurano e Faenza.
A metà gennaio del 2021 l’amministrazione del Comune di Forlì, di centrodestra, ha dato il via libera al progetto di restauro di questi lampioni. Gli stessi lampioni, appunto, posti nella piazza di Forlì nel 1933 dal regime fascista e su cui furono esposti i cadaveri dei partigiani. I lavori di restauro, costati parecchi quattrini, sono serviti per lucidare ed abbellire le orrende effigi della dittatura (ovvero i fasci littori in ghisa) che ancora fanno brutta mostra sui lampioni.
È come se in Germania su edifici e strutture pubbliche si restaurassero e riappendessero le svastiche naziste.
A Forlì non sono le uniche simbologie fasciste ancora presenti, purtroppo. Basti pensare all’orrendo edificio costruito nel 1933 dall’architetto romano Cesare Bazzani (architetto a cui venivano affidati, in maniera clientelare, tutti i maggiori lavori architettonici e urbanistici della Forlì fascista), oggi sede dell’Associazione mutilati e invalidi di guerra, in via Piero maroncelli n.3, che ancora reca ben visibili scritte e costruzioni fasciste, con due fasci littori alti circa due metri.
Questo per dire che, se il paese in cui abitiamo non ha ancora fatto i conti con il proprio passato, questo è ancor più vero in una città come Forlì, dove l’urbanizzazione fascista ha distrutto ogni segno della passata architettura medievale e popolare, e dove si continua oggi a mettere al centro del turismo un’offerta incentrata sulle brutture architettoniche e apologetiche che il fascismo ha prodotto.
Comunque, dopo aver ricordato le vicende della manifestazione e dello sciopero del marzo del ‘44, e fatto tappa nei luoghi dove queste sono avvenute, la nostra camminata per le strade cittadine, durata circa due orette, è infine terminata in un parco urbano dove, ben felici di farlo, abbiamo fatto merenda con qualche stuzzichino vegan e pasteggiato con del buon vino rosso e un ottimo liquorino autoprodotto portato da un’amica….perché no, brindando alla memoria della Banda Corbari.
Ancora una volta ringraziamo le persone che hanno partecipato al trekking urbano e che si sono dimostrate solidali con le/gli antifascist* condannat*, contribuendo al benefit.
Con una promessa: ci si vede alla prossima!