Riceviamo e condividiamo il comunicato di Rimini antifascista.
12 gennaio 2017, Rimini. Sono passati pochi giorni dall’inizio dell’anno e alle prime luci dell’alba bussano alla porta: non è più tempo di regali e quello che viene recapitato al nostro compagno Marsu è un’istanza di custodia cautelare con cui viene confinato – per la seconda volta – agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni. I motivi non sono nuovi, come non sono nuove le misure: chi firma questo provvedimento giudica ancora una volta Marsu un soggetto socialmente pericoloso.
Per capire questa storia dall’ennesimo risvolto surreale bisogna fare un salto indietro di tre anni.
Marsu infatti la notte dell’8 marzo 2014, insieme a un altro compagno, Bullo, all’uscita da un locale vicino Rimini riceve numerose coltellate per mano fascista, al punto tale da rischiare la vita. È solo per una questione di centimetri, e grazie a due delicati interventi chirurgici, che non gli viene strappata.
Da quel momento in poi per Marsu e Bullo, come per amici, amiche, compagni e solidali inizia un’odissea giudiziaria tutt’ora in pieno svolgimento, di cui quest’ultima assurda misura repressiva rappresenta solo l’ennesimo tassello: già lo scorso maggio, infatti, erano scattati gli arresti domiciliari con tutte le restrizioni nei confronti di sei persone, antifascisti e solidali, tra cui gli stessi Marsu e Bullo.
Per l’accoltellatore e i suoi complici fascisti, invece, il trattamento è ben diverso: dopo un processo fortemente parziale (la PM Bonetti è zia del fondatore di Forza Nuova Rimini e, strano ma vero, in una prima istanza del processo l’arma con cui sono stati colpiti non è stata messa agli atti, cosa che ha prodotto un forte sconto di pena) tutti ne escono puliti a parte l’accoltellatore stesso, e tutti, lui compreso, sono oggi liberi.
Tutto normale? Se fossimo nel ventennio fascista sicuramente sì. Ma anche ai giorni nostri certi meccanismi non sono tanto diversi. Con buona pace dei cittadini «sinceri democratici» che su questo hanno poco o nulla da dire ma che sanno riempirsi la bocca una volta all’anno con retoriche su antifascismo e resistenza.
A questo proposito ci viene in mente un episodio avvenuto lo scorso maggio, a pochi giorni dalla prima ondata di arresti contro gli antifascisti a Rimini, quando abbiamo cercato di raccontare questa storia a un evento del congresso nazionale dell’ANPI.
Difficile ottenere attenzione, figurarsi una parola di solidarietà e vicinanza. «Dobbiamo aspettare che la giustizia (?) faccia il suo corso» ci è stato risposto con evidente imbarazzo. Ma è proprio qui che abbiamo conosciuto il partigiano Eros, uno dei non pochi presenti che, messo a conoscenza dei fatti, ci ha incoraggiati con il suo ardore a lottare con ogni mezzo necessario per combattere questo silenzio e queste ingiustizie.
Questa è la differenza tra i vecchi partigiani rivoluzionari e i sinceri… burocratici di oggi, che di partigiano hanno solo la tessera. Questa è la differenza tra chi lotta per cambiare il corso della storia attraverso l’autorganizzazione dal basso e chi si rassegna o finge di non vedere le angherie di uno Stato che perpetua il dominio e l’ingiustizia di classe, oggi ancora più insopportabile in tempi di crisi economica, Fortezza Europa, sinistri governi tecnici.
È per colpire percorsi di autonomia e solidarietà che hanno bisogno di inventarsi che le persone che lottano sono socialmente pericolose. Per questo diventa scomodo e oggetto di accanimento giudiziario chiunque cerchi di costruire un mondo differente, senza sfruttamento, senza oppressioni, fatto di relazioni solidali non mercificate.
Questo caso di «giustizia alla rovescia» non è certo isolato, anzi. Chi come Marsu mette in gioco fino all’ultimo centimetro del proprio corpo, oltre che della propria intelligenza e del proprio cuore, per cambiare lo stato di cose presente, si vede togliere ogni giorno un pezzettino in più della propria libertà.
Che siano muri che si alzano intorno ai territori, carceri, CIE o persino le pareti della propria casa, che così diventa una prigione; che siano sigilli che chiudono spazi di autonomia e socialità come di recente a Pesaro; che siano sgomberi o sfratti che in piena emergenza freddo sbattono in mezzo alla strada famiglie intere, quello a cui assistiamo è una continua e metodica criminalizzazione di tutte le esperienze che non rispondono alle logiche del mercato della rendita.
Quello che vediamo è il risultato di una fase storica ben precisa dove la crisi è la condizione necessaria per garantire una ristrutturazione della società in chiave autoritaria e austera, dove la lotta di classe avviene dall’alto al basso per eliminare ogni tipo di opposizione e garantire la conservazione di privilegi e ricchezze in mano ai pochi soliti noti, dove chi è povero lo sarà sempre di più e dove la normalizzazione attraverso la repressione di tutte le pratiche di liberazione – personali o collettive – è lo strumento con cui rendere inoffensiva e obbediente quella plebaglia informe che una volta si chiamava proletariato.
Davanti a tutto questo ci scorre un brivido di fierezza sulla pelle ripensando alle parole del partigiano Eros, incontrato una sera di primavera mentre i nostri compagni erano agli arresti domiciliari. Con semplicità ci ha fatto capire di essere dalla parte giusta e con orgoglio ci dà la forza per non arrenderci.
Per questo noi non indietreggiamo e qualsiasi muro dove proveranno a rinchiuderci crollerà come i loro castelli di carta. MARSU LIBERO! TUTT* LIBER*!
«Ma l’uomo non sarà mai, veramente, né allegoria, né carne, né anni, né sogni, né niente, se prima l’uragano della rivoluzione non spazza via il fango putrido della miseria umana». [Manuel Scorza]
Rimini Antifascista