MSI a Rimini, una storia tutta da scrivere – 1
23 Novembre 2022 / Paolo Zaghini
Giorgia Meloni è una persona intelligente, determinata, una che studia (al contrario di Salvini), ma si porta dietro una eterna incapacità (voluta) di recidere il cordone ombelicale col fascismo oltre che una disastrosa classe dirigente del suo partito, molte volte imbarazzante. Sul secondo punto si veda l’elenco impressionante di questi personaggi redatto da Andrea Scanzi in i “Sfascistoni” (PaperFirst, 2021). Sul primo punto rinvierei al suo libro “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee” (Rizzoli, 2021) dove ogni riflessione sul fascismo è accuratamente evitata, nonostante che a pag. 161 scriva: “Roma, Via della Scrofa 39. E’ una mattina di novembre del 2019 (…) arrivo nel mio nuovo ufficio (…) quello stesso ufficio una volta era di Gianfranco Fini e, prima di lui, di Pino Rauti e Giorgio Almirante. Rimango in silenzio, e a un tratto mi rendo conto dell’enorme responsabilità che mi sono assunta. Ho raccolto il testimone di una storia lunga settant’anni”.
E più avanti: “Io sono di destra. Lo rivendico con l’orgoglio e la dignità con cui si rivendica un’identità, un’appartenenza vissuta”. Giorgia ha vissuto, dai primi anni ’90, la militanza attiva a Roma, nel quartiere della Garbatella, dell’ultimo periodo del MSI-DN di Fini nella organizzazione giovanile del Fronte della Gioventù, il passaggio ad Alleanza Nazionale e poi la sua crisi, sino alla fondazione del suo nuovo partito il 21 dicembre 2012, Fratelli d’Italia.
Nel suo discorso alla Camera per il voto di fiducia al suo Governo ha detto: “Mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici, fascismo compreso, esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre”. Quel “mai” iniziale, alla luce della sua storia giovanile, difficilmente è veritiero, però da quel discorso forse è emersa per la prima volta la voglia di separare due mondi: fuori le nostalgie fasciste, adesione ad un’identità di destra conservatrice. Ma entrambe nel nostro Paese hanno radici comuni. Ha affermato il Presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo: “Nascondere la condanna sotto il grande cappello dei totalitarismi del Novecento è un modo per confondere aggrediti ed aggressori, per annacquare le precise responsabilità del fascismo”. Ed il Vice-Segretario del PD Giuseppe Provenzano: “E’ stato importante aver chiarito che non ha simpatie per il fascismo però ha dimostrato una smaccata antipatia per l’antifascismo, matrice della nostra democrazia”.
L’azione del nuovo Governo Meloni è segnato da questo vulnus iniziale, ma dipenderà molto da lei il successo o meno della sua leadership che gli elettori italiano le hanno conferito.
Questa lunga premessa per raccontare la storia del partito di ispirazione neofascista nell’Italia repubblicana, il Movimento Sociale Italiano (MSI). Una storia per molti anni quasi catacombale, nascosta all’interno di piccoli gruppi di militanti, esclusa dagli appartenenti ai partiti dell’arco costituzionale. I cui voti però spesso sono stati cercati e utilizzati nel corso dei decenni dalla Democrazia Cristiana a supporto di governi centristi o in amministrazioni comunali.
I libri che raccontano le vicende del MSI sono pochissimi. Provo ad elencarne alcuni: Petra Rosenbaum “Il nuovo fascismo da Salò ad Almirante. Storia del MSI” (Feltrinelli, 1975), Piero Ignazi “Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano” (Il Mulino, 1989), Giuseppe Parlato “Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948” (il Mulino, 2006), Davide Conti “L’anima nera della Repubblica. Storia del MSI” (Laterza, 2013), Marco Tarchi “Esuli in patria: i fascisti nell’Italia repubblicana” (Guanda, 1995). Ci sono poi diversi opuscoli editi dal MSI nel corso dei decenni sulla propria storia, assolutamente assenti da ogni biblioteca pubblica, con la eccezione del volume di Almirante “Il Movimento Sociale Italiano” (Nuova Accademia, 1958). Diverse invece le biografie dedicate a Giorgio Almirante, ma il testo più interessante (pur ricco di aggiustamenti ad usum delphini, ovvero adattato e manipolato pro domo suo) è la sua “Autobiografia di un fucilatore” (Il Borghese, 1973).
Non esiste invece alcuna traccia scritta della storia del MSI nel riminese.
Provo, in rapida sintesi, a tratteggiare in pillole il percorso storico del MSI fra il 1946 e il 1994, sapendo che come in tutte le organizzazioni politiche ci sono state battaglie interne e confronti politici esterni complessi, anche duri, che hanno modificato più volte il corso della storia del partito.
Il Movimento Sociale Italiano (MSI) fu fondato a Roma il 26 dicembre 1946 da undici reduci della Repubblica Sociale Italiana ed ex esponenti del regime fascista: Arturo Michelini, Pino Romualdi, Giorgio Almirante, Giorgio Bacchi, Giovanni Tonelli, Cesco Giulio Baghino, Mario Cassiano, Valerio Pignatelli, Roberto Mieville, Giorgio Pini, Biagio Pace. Una fondazione semiclandestina del partito.
Scrive Piero Ignazi: “Per più di due anni vi era stato un affastellarsi di iniziative isolate di tipo rivoluzionario-terroristico, contemporaneamente al riattivarsi di legami tra ex camerati e al proliferare di sigle, movimenti, gruppi e, soprattutto, giornali. Questo clima magmatico e contradditorio era il frutto inevitabile della sconfitta. L’incarcerazione, l’esilio o la clandestinità di buona parte della classe dirigente del fascismo aveva infatti privato di guida e orientamento quanti rimanevano legati all’esperienza fascista. Questo mondo di nostalgici oscillava tra due direzioni principali: l’inserimento nella legalità o l’attività clandestina. Fu attraverso lo sviluppo e l’intrecciarsi di queste due modalità che si attuò la ricomposizione politico-organizzativa del neofascismo”.
Determinante fu in quegli anni l’azione di Pino Romualdi (1913-1988), che nonostante la condanna a morte per i fatti di Parma (un eccidio di partigiani nell’estate 1944 mentre era segretario federale di quella città), inflittagli nell’ottobre 1945, si mosse ed agì liberamente in tutta Italia sino al suo arresto nel marzo 1948 quando fu costretto a scontare circa tre anni di galera. Venne considerato il più raffinato e intelligente stratega della Destra nazionale sociale del dopoguerra.
Sin dalla sua costituzione il partito si divise tra un MSI atlantico e disponibile a collocarsi nello spazio della sfera pubblica che la democrazia lasciava aperto agli eredi di Salò (Michelini, De Marsanich, Romualdi) e chi voleva un MSI identitario, terzaforzista e composto quasi in via esclusiva dagli “esuli in patria” (come li chiamò Marco Tarchi nel suo volume) (Almirante e gli esponenti della sinistra sociale).
In un opuscolo del MSI (“1946-1996: cinquanta anni di passione: Movimento Sociale Italiano”) è scritto: “Nasceva il partito di chi era stato e voleva rimanere fascista”. “Fu l’inizio di un’avventura che qualsiasi osservatore privo di pregiudizi non può non definire eccezionale: un movimento fondato da sopravvissuti agli stermini della resistenza, di già condannati a morte (come Baghino e Romualdi), di persone che per molti anni ancora rischieranno la vita parlando nelle piazze di tutta Italia”.
Primo Segretario fu Giacinto Trevisonno (dal 26 dicembre 1946 al 15 giugno 1947). Giorgio Almirante (32 anni) nel giugno 1947 fu nominato Segretario Nazionale e fu lui a proporre l’adozione della fiamma tricolore come simbolo del partito, tratto dall’emblema degli arditi nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1950 lo sostituì Augusto De Marsanich sino al 1954 (che divenne poi presidente del partito sino al 1972) a cui subentrò Arturo Michelini. Dopo la sua morte, il 15 giugno 1969, il Comitato Centrale del MSI il 29 giugno rieleggerà Segretario Nazionale Almirante che lo rimarrà sino ad un anno prima della sua morte, avvenuta il 22 maggio1988. Al Congresso di Sorrento del dicembre 1987 venne eletto segretario Gianfranco Fini, scalzato al Congresso di Rimini del gennaio 1990 da Pino Rauti. Dopo il disastroso risultato elettorale alle amministrative del 1991 (in cui il MSI-DN dimezzò i voti) Rauti si dimise e il comitato centrale rielesse segretario Fini.
Pino Romualdi morì il 21 maggio, Giorgio Almirante il 22 maggio. Il 24 maggio 1988 ci fu un funerale unico dei due capi storici del Movimento Sociale a Piazza Navona a Roma alla presenza di migliaia di persone. Amici e nemici, ma per quarant’anni lavorarono assieme per dar vita ad una forte destra. Senza rinnegare, però, il passato.
Nel 1956, al 5° Congresso, tenutosi a Milano, Pino Rauti, in rottura con il segretario Michelini, considerato un moderato, uscì dal MSI per costituire Ordine Nuovo. Rientrò nel MSI nel 1969 dopo che Almirante il 10 luglio aveva lanciato un appello, rivolto soprattutto a Ordine Nuovo, “ai camerati che hanno abbandonato il partito”. Una parte dei militanti del movimento, contrari al rientro, insieme al fondatore, nei ranghi del Movimento Sociale Italiano proseguì l’attività. Ma a novembre 1973 il movimento fu sciolto a seguito del processo in cui 30 suoi dirigenti furono accusati di ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista, subendo pesanti condanne e lo scioglimento ufficiale a opera del ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani.
Nel 1972, a seguito della fusione con il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, venne aggiunta nella sigla del partito Destra Nazionale (MSI-DN). Gli iscritti dichiarati (un po’ sommariamente) in occasione di Congressi ammontavano a 30.000 nel 1947 con 2.500 sezioni; negli anni ’50 ca. 500.000 iscritti; nel 1972 451.000 iscritti; nel 1984 382.000 iscritti in 3.180 sezioni; nel 1987 119.000 iscritti in 2.720 sezioni.
Nel 1950 venne fondata la CISNAL, il sindacato neofascista, diretta Giovanni Roberti, deputato del MSI.
Il Congresso di Fiuggi del 25-27 gennaio 1995 pose fine alla storia del MSI-DN, ultimo partito della Prima Repubblica rimasto in vita, e Fini diede vita alla nuova formazione politica Alleanza Nazionale, già sdoganata nei fatti da Silvio Berlusconi e portata dentro il suo primo Governo dopo le elezioni politiche del 27 marzo 1994.
Rauti (1926-2012), da sempre animatore dell’ala sociale, insieme con alcuni altri esponenti del partito come Giorgio Pisanò e Tommaso Staiti di Cuddia, non accettò questo cambiamento, interpretato come un «disconoscimento» del proprio passato. Il 3 marzo 1995 fondò il Movimento Sociale Fiamma Tricolore. Rauti venne espulso dalla Fiamma Tricolore nell’ottobre 2003 e fondò, nel 2004, il Movimento Idea Sociale.
Il MSI fece la sua prima comparsa nella scheda elettorale del 1948 ottenendo l’1,8% dei voti ed eleggendo 6 deputati e 1 senatore. Sino al 1994, nelle varie elezioni politiche, ottenne mediamente fra il 4,5% e il 5,5% dei voti degli italiani (con un picco nel 1972 del 7,8%, quando elesse 55 deputati e 26 senatori): fra un milione e mezzo e due milioni di preferenze.
Gli italiani al referendum del 2 giugno 1946 scelsero la Repubblica e non la Monarchia, votarono per la elezione dell’Assemblea Costituente (la Democrazia Cristiana conquistò la maggioranza relativa dell’Assemblea con il 35,21%, mentre il Partito Socialista e il Partito Comunista raggiungevano insieme il 39,61%; i tre maggiori partiti ottenevano complessivamente circa il 75% dei suffragi). Le donne furono chiamate per la prima volta al voto. Con quella tornata elettorale gli italiani diedero soluzione alla questione istituzionale ed elessero un’assemblea chiamata a scrivere e ad approvare la nuova Costituzione della Repubblica Italiana (entrata in vigore il 1º gennaio 1948).
L’Assemblea Costituente il 28 giugno 1946 elesse Enrico De Nicola – giurista, esponente della cultura politica liberal-democratica e presidente della Camera dal 1920 al 1923 – a Capo provvisorio dello Stato.
A questi passaggi fondamentali della nascita della Repubblica Italiana le forze neofasciste furono estranee, relegate in un mondo semiclandestino, dentro e dietro una moltitudine di sigle (il Fronte dell’Italiano, il Movimento Italiano di Unità Sociale, il Fronte del Lavoro, Gruppo reduci indipendenti) che si esprimevamo attraverso numerosi giornaletti di scarsa diffusione. Con una forte simpatia da parte di questi gruppi in quegli anni per la formazione dell’”Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini che sostennero nella sua elezione alla Assemblea Costituente nel giugno 1946. Ma la formazione del Movimento Sociale Italiano iniziò la ricomposizione di tutti questi gruppi, consentendo al MSI di partecipare alle elezioni comunali di Roma nel settembre 1947 quando riuscì a eleggere tre consiglieri comunali, che furono pure determinanti nell’eleggere sindaco il democristiano Salvatore Rebecchini.
La cosiddetta “amnistia Togliatti” fu un provvedimento (decreto presidenziale 22 giugno 1946, n. 4) di estinzione delle pene proposto alla fine della Seconda guerra mondiale nella neonata Repubblica Italiana dal Ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti e approvato dal Governo De Gasperi I. L’emanazione del provvedimento di amnistia e le rapide scarcerazioni di massa provocarono immediatamente vaste reazioni negative nel paese, tra i partigiani, la popolazione comune e le forze politiche.
Il provvedimento fu introdotto in un paese ancora dilaniato dalle conseguenze del conflitto e dalla guerra civile. Il ministro Togliatti presentò il provvedimento di clemenza come giustificato dalla necessità di un “rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale”. L’amnistia comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi, ivi compreso il concorso in omicidio.
La XII Disposizione transitoria della Legge Costituzionale, approvata dal Parlamento ed entrata in vigore l’1 gennaio 1948, recita: “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”.
Il 7 febbraio 1948 venne però approvata la cosiddetta “legge di clemenza” su proposta del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giulio Andreotti, che reinserì nei propri ruoli tutto il personale amministrativo del regime fascista che era stato epurato, compresi quelli coinvolti in atti come rastrellamenti ed esecuzioni sommarie.
Ma poi il Governo De Gasperi approvò la legge Scelba (legge 20 giugno 1952, n. 645) in attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana che, tra l’altro, introdusse il reato di apologia del fascismo. Questa legge sanziona «chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità» di riorganizzazione del disciolto partito fascista, e «chiunque pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche».
Questa legge nei decenni ricevette un’applicazione tale da non mettere mai in dubbio la legittimità del MSI, nonostante in varie occasioni (soprattutto nel corso dei violenti anni ’70, dove un’area grigia tra eversione e legalità fu coltivata a lungo dal MSI) i partiti della sinistra ne chiedessero la sua piena applicazione.
Nel prossimo articolo proverò a raccontare degli uomini e delle vicende del MSI riminese.
(nell’immagine in apertura, Giorgia Meloni con Gianfranco Fini, suo mentore in Alleanza Nazionale)
MSI a Rimini, dalla semiclandestinità al salotto buono delle istituzioni – 2
2 Dicembre 2022 / Paolo Zaghini
Anche a Rimini fra il 1945 e il 1947 agirono piccoli gruppi di neofascisti con attività clandestine, soprattutto di propaganda politica (affissione di manifesti nella notte, diffusione di volantini, scritte sui muri). In questa nebulosa di neofascisti, quando a fine dicembre 1946 nacque il MSI, anche nel riminese (come nel resto d’Italia) il nuovo partito andò a pescare per reclutare i suoi iscritti.
Il 26 dicembre 1946 a Roma veniva ufficialmente fondato il Movimento Sociale Italiano (MSI). Un partito semiclandestino, se è vero che i primi contatti dei fascisti riminesi con il centro romano già ad inizio 1947 avvennero attraverso una casella postale collocata nell’ufficio delle poste in Piazza Cavour. Ad esempio il giovane Sergio Cappelletti (17 anni) scrive a Roma nel gennaio 1947 chiedendo di entrare a far parte del nuovo partito ed allegando per la tessera 50 lire. Gli risponderà con lettera Giorgio Almirante dicendo che i contatti per il momento avverranno solo attraverso comunicazioni inviate alla casella postale 46. Il giovane Sergio, curioso come tutti i ragazzi, per settimane fece la punta fuori dall’ufficio postale per vedere chi era che andava a prelevare la posta dalla c.p. 46. E beccò il “postino”: il geom. Livio Capicchioni, della notissima famiglia dei liutai sammarinesi con bottega in Rimini, che portava il contenuto della c.p. 46 a Celso Battistini (1905-1972), calzolaio, primo responsabile della sezione del MSI riminese dal 1947 al 1949.
Durante la segreteria di Battistini il MSI arrivò a contare una trentina di iscritti, quasi tutti giovani reduci della Repubblica Sociale di Salò. I vecchi dirigenti fascisti del Ventennio rimasti a Rimini non si iscrissero mai al MSI: Ugo Ughi (1908-1956), Dino Pancrazi (1885-1963), Perindo Buratti (1905-1987), Pietro Palloni (1876-1970), per citare solo alcuni dei più noti, anche se qualcuno di loro collaborò ad iniziative e ad attività del partito.
La prima sede ufficiale del MSI, istituita in occasione delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, fu a Piazzetta Carlo Zavagli, per poi trasferirsi nel luglio 1960 in Via Giordano Bruno, ed infine nel 1962 in Via Soardi.
Alle elezioni politiche del 1948, la prima volta che partecipava ad una competizione elettorale dopo la guerra, l’MSI a Rimini prese 394 voti, pari allo 0,93% dei votanti. In tutti gli altri Comuni del Circondario riminese percentuali molto, molto più basse.
Dal 1949 al 1950 segretario della sezione riminese del MSI fu Carlo Nobili, a cui successe, fra il 1951 e il 1953, il prof. Tarcisio Grandi. Dal 1948 al 1952 responsabile dei giovani fu Sergio Cappelletti.
Alle prime elezioni comunali di Rimini nel 1946 i neofascisti, ancora non organizzati, non parteciparono. Alle elezioni del 27 maggio 1951 invece fu presentata la lista del MSI che ottenne 1.328 voti (il 2,93%) ed elesse un consigliere (l’avv. Gianmaria Leone Ricciotti che prese 156 preferenze).
Alle elezioni del 27 maggio 1956 MSI e PLI costituirono assieme la Lista Tricolore che ottenne 2.243 voti (il 4,74%) e 2 consiglieri (uno era il missino Pellegrino Cicognani con 347 preferenze). Ma quel Consiglio Comunale non si insediò mai (i due schieramenti avevano ottenuto entrambi 20 consiglieri e si neutralizzarono a vicenda), le elezioni furono ripetute l’anno successivo, il 31 marzo 1957, dove il MSI si presentò da solo non eleggendo alcun consigliere (aveva preso 999 voti pari al 2,12%).
Alle elezioni del 23 aprile 1961 il MSI ottenne 2.126 voti (pari al 3,89%) ed elesse un consigliere (l’avv. Cleto Cucci con 313 preferenze). Il 9 maggio 1965 il MSI ottenne 1.347 voti (il 2,07%) e non elesse alcun consigliere. Il 7 giugno 1970 il MSI ottenne 2.895 voti (il 3,88%) ed elesse un consigliere (Sergio Cappelletti con 307 preferenze).
Il 15 giugno 1975 il MSI-DN prese 3.932 voti (il 4,6%) ed elesse due consiglieri (Stefano Bascucci e Oronzo Zilli). L’8 giugno 1980 il MSI-DN prese 3.611 voti (il 4,04%) e confermò due consiglieri (Francesco Barletta e Cleto Cucci). Il 12 maggio 1985 il MSI-DN prese 4.926 voti (il 5,18%) e confermò ancora due consiglieri (Francesco Barletta e Gioenzo Renzi). Il 6 maggio 1990 il MSI-DN ottenne 3.811 voti (3,91%) e due consiglieri (Gioenzo Renzi e Oronzo Zilli). Il 23 aprile 1995 Alleanza Nazionale prese 12.999 voti (il 13,65%) ed elesse cinque consiglieri (Stefano Bascucci, Guerrino Mosconi, Vito Antonio Murgida, Luca Ventaloro, Oronzo Zilli).
Negli altri comuni del Circondario il MSI elesse consiglieri molto tardi, a partire dalla metà degli anni ’80, con l’eccezione di Riccione. In questo ultimo Comune il 27 maggio 1956 una Lista Cittadina (PNM-MSI-Ind.) con il 4,86% dei voti elessero un consigliere (Italo Giusti). Questi fu confermato il 31 ottobre 1960 nella lista del MSI che prese il 3,64% dei voti. Poi dalle elezioni del 22 novembre 1964 a quelle del 12 giugno 1985 (per cinque volte) fu eletto Elias Speroni (nel 1985, assieme a lui, fu eletto anche Giancarlo Barnabè con il MSI-DN che ottenne il 4,89% dei voti). Il 6 maggio 1990 il MSI-DN prese il 2,80% ed elesse un consigliere (Giancarlo Barnabè). Il 23 aprile 1995 Alleanza Nazionale ottenne il 15,01% ed elesse cinque consiglieri (Filippo Airaudo, Antonia Barnabè, Giancarlo Barnabè, Arturo Florio, Stefano Muccioli).
Negli altri Comuni: a Bellaria-Igea Marina il MSI-DN ottenne un consigliere solo nelle elezioni del 15 maggio 1985 con il 3,03% dei voti (Sergio Bianchi). Lo stesso a Cattolica: nel 1985 con il 3,65% il MSI-DN elesse un consigliere (Maurizio Martucci). Pure a Santarcangelo di Romagna: nel 1985 con il 3,02% il MSI-DN elesse un consigliere (Daniele Apolloni). Lo stesso a San Giovanni in Marignano il MSI-DN nel 1985 con il 5,19% dei voti elesse un consigliere (Giancarlo Bombardi, dimessosi il 27 giugno 1987 e sostituito da Silvio Renzoni). In tutti gli altri Comuni (Coriano, Misano Adriatico, Mondaino, Montecolombo, Montefiore Conca, Monte Gridolfo, Montescudo, Morciano di Romagna, Poggio Berni, Saludecio, San Clemente, Torriana, Verucchio) il MSI non elesse mai, tra il 1947 e il 1994, alcun consigliere.
Per il Consiglio provinciale di Forlì il MSI elesse, sempre nel seggio di Rimini 1 (il centro storico della Città), il 12 giugno 1966 con il 2,59% dei voti un consigliere (Sergio Cappelletti), ma questo consiglio non si insediò mai. Alle elezioni del 7 giugno 1970 il MSI, con il 3,37%, elesse un consigliere (l’avv. Gianfranco Gagliani), il 15 giugno 1975 il MSI-DN con il 3,82% confermò un consigliere (Italo Ricciotti), l’8 giugno 1980 il MSI-DN con il 3,40% elesse un consigliere (Sergio Cappelletti) che confermò alle elezioni del 12 maggio 1985 (con il 4,65% dei voti), il 6 maggio 1990 con il 3,31% il MSI-DN elesse un consigliere (Domenico Barletta).
Nel Comitato Circondariale di Rimini il 4 settembre 1986 furono eletti tre consiglieri del MSI-DN (Monica Arcangeli di Cattolica, Claudio Di Lorenzo di Bellaria-Igea Marina, Giuliano Masini di Rimini); il 24 luglio 1989 furono due i consiglieri eletti (Giancarlo Barnabè di Riccione, Sergio Soatin di Rimini); il 18 settembre 1990 fu eletto un solo consigliere del MSI-DN (Maurizio Martucci di Cattolica).
Alle elezioni dell’8 giugno 1980 per i Consigli di Circoscrizione del Comune di Rimini il MSI-DN elesse otto consiglieri (Roberta Cappelletti e Giovanni Pulito al quartiere 1, Arnaldo Bertolini al quartiere 2, Sergio Soatin al quartiere 3, Nestore Crocesi al quartiere 4, Vito Antonio Murgida al quartiere 5, Mario Pensieri al quartiere 6, Cleto Cucci al quartiere 8). Alle elezioni del 12 maggio 1985 il MSI-DN elesse 11 consiglieri (Pier Paolo Jommi e Gianmaria Leone Ricciotti al quartiere 1, Luca Ventaloro al quartiere 2, Daniele Pozzi al quartiere 3, Sergio Bianchi al quartiere 4, Rita Casci al quartiere 5, Nicola Pavani al quartiere 6, Cleto Cucci al quartiere 7 a cui subentrò il 6 giugno 1986 Ornella Samorini, Mario Penserini al quartiere 8, Ofelia Della Bella al quartiere 9, Nicola Pavani al quartiere 10). Alle elezioni del 6 maggio 1990 il MSI-DN elesse 6 consiglieri (Gianmaria Leone Ricciotti al quartiere 1 sostituito per morte il 23 settembre 1992 da Margherita Reda, Luca Ventaloro al quartiere 2, Artidoro Cingolani al quartiere 3, Massimo Murgida al quartiere 4, Claudio Dau al quartiere 5, Carlo Lisi al quartiere 6).
Alle elezioni per il Consiglio regionale il MSI-DN, fra il 1970 e il 1994, non elesse alcun consigliere.
Sergio Cappelletti, su “La Provincia” del 2 maggio 1963 (dopo le elezioni politiche del 28 aprile 1963) a proposito degli elettori missini scriveva: “Ringrazio i 2.684 elettori riminesi della ‘Fiamma’ che hanno saputo resistere alle pressioni massicce, alla vera e propria valanga della propaganda avversaria che se ha sommerso quella modestissima del nostro Movimento, non lo ha minimamente intaccato. Resistere, anzi progredire, in simili condizioni è eroico. Ciò significa che la base elettorale del MSI è composta da donne, uomini e giovani di Fede, che credono”.
Superati i primi anni di esistenza, vi fu poi un periodo di assestamento, assai turbolento, nella vita del MSI riminese fra il 1953 e il 1957, con la segreteria del prof. Angelo Ceccaroli (1916-2006). Risultati elettorali deludenti inoltre privarono il partito in quegli anni di ogni rappresentanza istituzionale nel Consiglio Comunale di Rimini.
Il 19 maggio 1957 si era svolto il Congresso di Sezione del MSI riminese. Ceccaroli fece “una rassegna di lotte politiche sostenute dal Movimento in una zona quanto mai difficile ed in un ambiente cittadino politicamente abulico, vera eccezione questa alla tradizionale sensibilità politica della gente di Romagna” (da “Il Popolo Italiano” del 22 maggio 1957). E concluse ringraziando i suoi più diretti collaboratori: “i Camerati Primo Guidi, Mariotti, Dino Pancrazi, Mario Bezzi, Cleto Cucci, Sergio Cappelletti, Pellegrino Cicognani”.
Il Congresso elesse nuovo segretario Sergio Cappelletti (1930- ) (che lo rimase sino al 1968). Nel 1957 venne istituito il Comitato Circondariale del MSI e nel 1958 la Direzione Nazionale romana riconobbe a Rimini lo status di federazione autonoma, distaccandola da Forlì (così come stava accadendo per tutti gli altri partiti), con il sostegno del membro dell’Esecutivo Nazionale, il bolognese Franz Pagliani. Il Segretario riminese divenne a questo punto il Segretario Federale. In quegli anni in tutti i comuni il MSI si era dato una propria organizzazione (tranne che a Montescudo).
Nel 1958 il MSI riminese tenne il suo primo Congresso. 240 erano gli iscritti nel Riminese.
Per Statuto il Congresso eleggeva il Segretario, che a sua volta nominava il Direttivo, la Commissione Disciplina e il collegio dei revisori dei conti. Un partito dunque fortemente centralizzato.
La segreteria di Cappelletti schierò la Federazione riminese a favore della corrente di Pino Romualdi che voleva un partito atlantico, moderato e non nostalgico, in grado di intercettare non solo il voto dei fascisti, ma anche quello di una più ampia fascia di opinione pubblica moderata e nazionalista. Cappelletti era entrato nel Comitato Centrale nazionale del MSI al 5. Congresso svoltosi a Milano nel novembre 1956 in quota alla corrente di Romualdi (e vi rimase sino al Congresso di Fiuggi nel 1995, quando nacque Alleanza Nazionale).
La battaglia interna a Rimini fra i sostenitori di Romualdi e gli altri, fu con Cleto Cucci (probabilmente l’uomo politico missino più importante fra gli anni ’50 e ’60) e Giuseppe Pasquarella, sostenitori di Almirante, e dagli anni ’80 con Gioenzo Renzi (membro del Comitato Centrale) e Roberto Gabellini sostenitori di Pino Rauti.
Nell’aprile 1963 sul “Bollettino interno d’informazioni”, organo interno della Federazione forlivese del MSI, riservato ai soli iscritti, apparve un articolo intitolato “Rimini è in gamba” dove si affermava che “Rimini è una delle migliori Federazioni d’Italia”. E proseguiva: “la nostra Provincia, con ben due Federazioni così attive sul proprio territorio, si è ulteriormente imposta all’ammirazione di tutti nel seno del nostro Partito”. E la Federazione missina di Rimini fu per diversi decenni una realtà importante del MSI, con diversi riminesi eletti negli organismi nazionali (Cappelletti, Gian Luigi (Gianni) Piacenti, Renzi, Italo Ricciotti).
Dopo Cappelletti alla segreteria provinciale per alcuni mesi vi fu il riccionese ing. Elias Speroni (1923-2000), poi sostituito da Italo Ricciotti, altro romualdiano, in carica dal 1968 al 1976.
Nel corso degli anni ’70 si imposero alla direzione del partito, affiancando o in contrasto con Cappelletti che comunque rimase anche dopo aver lasciato nel 1968 la segreteria, l’uomo-chiave delle scelte politiche locali almeno sino ai primi anni del 2000, Cleto Cucci (1926-2008), Oronzo Zilli (1939-2011), Francesco Antonio Barletta (1929-2020), Italo Ricciotti (1938- ), Giancarlo Barnabè (1944-2001), Gioenzo Renzi (1946- ), Sesto Pongiluppi (1951- ).
Nel febbraio 1981 il MSI riminese si mobilitò per la raccolta di firme a favore del referendum sulla pena di morte. I consiglieri comunali Francesco Barletta e Cleto Cucci in Consiglio intervennero in maniera assai accesa a sostegno dell’iniziativa del loro partito. Tutte le altre forze politiche votarono però un ordine del giorno fermamente contrario alla pena di morte: “l’impegno contro il terrorismo e la grande criminalità organizzata” non può accompagnarsi “con l’imbarbarimento della repressione”.
A fine 1981 il consigliere provinciale Cappelletti votava nel Consiglio di Forlì un ordine del giorno, assieme a tutti gli altri partiti, con cui si chiedeva l’istituzione della Provincia di Rimini e della Regione Romagna. Dichiarava al “Corriere di Romagna” del 6 dicembre 1981: “Ne ho parlato con Almirante e Romualdi: entrambi sono d’accordo”.
Anche i dirigenti del MSI vissero fra il 1989 e il 1992 la crisi della Giunta Comunale di Rimini con la rottura fra PSI e PCI. Le giunte di pentapartito, nonostante le ripetute avances fattegli dai missini, esclusero ancora una volta gli uomini del MSI-DN dal governo cittadino. Fu soprattutto Oronzo Zilli, rientrato in Consiglio Comunale alle elezioni del 1990, espressione dell’elettorato moderato del MSI, ad impegnarsi, senza successo, per questa possibilità. Cosa che invece non farà poi Berlusconi nel maggio 1994 alla nascita del suo Governo, nominando 4 ministri del MSI-DN (Giuseppe Tatarella, Adriana Poli Bertone, Publio Fiori, Altero Matteoli).
(Nell’immagine in apertura: tessera 1958 del MSI)
MSI a Rimini: “Ne abbiamo date, ma quante ne abbiamo prese!” – 3
7 Dicembre 2022 / Paolo Zaghini
Il Congresso di AN del 24 marzo 2002, all’Hotel Continental di Rimini, finì in rissa, con l’intervento dei poliziotti della DIGOS. In competizione per l’incarico di segretario provinciale, dopo i mesi di commissariamento della Federazione affidata a Italo Ricciotti, Gioenzo Renzi (leader della destra sociale riminese della corrente Storace-Alemanno e sostenuto da Sesto Pongilupi) e Liliana Cingolani (della corrente Gasparri-Berselli e sostenuta da Oronzo Zilli). Il Congresso fu sospeso e annullato. Conseguenza dell’annullamento l’azzeramento degli iscritti, dei circoli, nessun delegato riminese al Congresso di AN di Bologna (4-7 aprile 2002). La nomina di un commissario straordinario nella persona del sen. Alberto Balboni.
Questi eventi portarono il Resto del Carlino, il 27 marzo, a scrivere un pezzo: “AN story. Decenni di litigate e ora la carica dei 40enni” da cui riprendiamo: “Sono storici i litigi nella federazione riminese di AN. Risalgono al MSI e addirittura agli anni ’50. Non c’è mai stata pace, insomma, tra i post-fascisti riminesi, i cui congressi negli anni scorsi, sono stati caratterizzati anche da botte, sedie in testa, manganellate, tra iscritti e dirigenti. Tanto che i fatti avvenuti domenica, dice qualcuno, non sono nulla rispetto al passato. Così come frequenti sono stati i commissariamenti della federazione. Episodi che sono sempre stati dovuti alle lotte tra i vertici delle varie componenti interne, che spesso diventavano però lotte personalistiche”.
Del resto era successo anche al Congresso Nazionale del MSI tenutosi a Rimini dall’11 al 14 gennaio 1990, che registrò lo scontro tra Fini e Rauti, vinto da quest’ultimo che divenne Segretario Nazionale. Il 12 gennaio dovettero intervenire le forze dell’ordine: nel pomeriggio fra i rappresentanti delle due fazioni volarono parole grosse e spintoni e scoppiò la bagarre. La Stampa titolò: “In platea volano schiaffi e pugni. Cento i delegati coinvolti, intervengono alcuni agenti di Polizia”. Ospite del Congresso riminese fu il francese Jean Marie Le Pen.
Alla salda maggioranza a Rimini della corrente di Pino Romualdi per vent’anni, garantita dai segretari Cappelletti e Ricciotti, si aprirono poi nella seconda metà degli anni ’70 periodi più turbolenti durante la segreteria dell’almirantiano avv. Giuseppe Pasquarella (1977-1979) o del rautiano Gioenzo Renzi (1984-1989).
Ma al di là del duro confronto politico interno, vorrei riprendere un tema ‘caldo’: quella della violenza politica in città nel corso dei decenni, legata alle attività dei neofascisti riminesi. In un colloquio avuto con Sergio Cappelletti egli ha sostenuto che “nei suoi anni lui riusciva a gestire, e a controllare, la violenza delle sue squadre di giovani. Anche se nel corso degli anni ne abbiamo date, ma quante ne abbiamo prese!”.
Sino alla fine degli anni ’60 gli scontri avvenivano con i militanti comunisti (guidati solitamente dal pugile Elio Ghelfi), con gli ex partigiani (in prima fila sempre “Mazaset”, al secolo Sergio Giorgi), con i giovani comunisti. Possiamo ricordare i tre giorni di scontri in centro città a fine ottobre 1956, con tentativo di assalto alla sede del PCI, durante la rivoluzione ungherese di quell’anno. Gli scontri a Torre Pedrera nei primi giorni di settembre 1961 durante un “convegno di studio” missino all’albergo Punta Nord: ad una prima serata sopra le righe dei giovani fascisti, risposero il giorno dopo gli operai dell’UNICEM di Santarcangelo che spedirono diversi di loro a farsi medicare in ospedale e poi la grande manifestazione degli antifascisti riminesi. Gli scontri avvenuti il 12 dicembre 1964 in occasione della manifestazione di protesta organizzata dal PCI e dal PSIUP contro la visita in Italia del Presidente del Congo Ciombè, con i giovani missini che distribuivano per il Corso volantini in cui c’era scritto: “L’Italia non è il Congo” e proseguiva scagliandosi contro “i cosiddetti amici dei cannibali comunisti congolesi” accusati di “non perdonare a Ciombè di aver chiesto l’intervento dei paracadutisti belgi per salvare dal massacro migliaia di europei, fra cui centinaia di suore e missionari” (Il Resto del Carlino del 13 dicembre 1964 scriveva “Durante la distribuzione dei manifestini missini, nel tratto centralissimo di Corso d’Augusto, nei pressi di Via Soardi (ove hanno sede sia il PCI che il MSI) si sono accesi alcuni rapidi tafferugli fra elementi delle opposte estreme, col volo di qualche scapaccione. Il pronto intervento delle forze dell’ordine ha smorzato sul nascere qualsiasi azione irresponsabile”). Il 13 aprile 1969 in occasione di uno dei tanti comizi di Romualdi (a Rimini era di casa) si forma un corteo non autorizzato guidato dallo stesso Romualdi e dai riminesi Nestore Crocesi e Giuseppe Pasquarella che creerà disordini e scontri in tutto il centro.
Poi il clima cambierà, in peggio: il crescere del movimento degli studenti, “l’autunno caldo” nelle fabbriche porterà ad un conflitto continuo nella città e nelle scuole fra giovani comunisti, extraparlamentari di sinistra (Lotta Continua in particolare) e le squadre fasciste. Sono le scuole riminesi, per anni, i luoghi dei conflitti pressochè quotidiani. E’ un ininterrotto stillicidio di scontri, di violenze, di denunce. Gli anni ’70 sono violenti non solo a livello nazionale, ma anche nel riminese.
Il Dossier sul neofascismo riminese fra il 1969 e il 1975 pubblicato da “Il Progresso”, quindicinale della Federazione Comunista, n. 6 del 22 aprile 1975 dà conto di molte decine di questi scontri, più o meno gravi. Si va dalle bombe alla sede del PCI di Riccione nell’estate 1969, a quelle dell’agosto 1971 alla caserma di polizia di Bellariva e al Grand Hotel attribuite a giovani dell’estrema destra, alla bomba al Palazzo delle Poste il 16 aprile 1975. Dalle provocazioni come le scritte e le svastiche sui manifesti funebri del giovane segretario della FGCI Loris Soldatinel marzo 1969, al lancio di uova contro la lapide in Piazza Tre Martiri ai combattenti antifascisti il 6 marzo 1973, a quella del 23 e 24 novembre 1974 quando dalla sede del sindacato neofascista CISNAL in Piazza Tre Martiri venne calato un capestro, insulto sfrontato ai tre giovani partigiani Capelli, Nicolò e Pagliarani.
La giornata del 24, dopo l’incontro con Pietro Cerullo, dirigente nazionale del MSI, terminò con violenti scontri con gli antifascisti in piazza (Pasquarella fu medicato per ferite al cuoio capelluto guaribili in 15 giorni). Il Resto del Carlino riportava sul numero del 25 novembre 1974: “Ad un tratto, le due opposte schiere sono venute a contatto: sono volati colpi di bastone e di asta di bandiera, sono stati effettuati lanci di bottiglie. Il PCI afferma che lo scontro è stato originato da ‘oltre 40 teppisti’ i quali ‘aggredivano con mazze da baseball, spranghe di ferro e bottiglie i cittadini presenti, alcuni dei quali rimanevano feriti’”. L’on. Cerullo per contro rigettava la responsabilità degli scontri “su folti gruppi di estremisti rossi che armati di fionde, spranghe di ferro, bottiglie e bastoni” avrebbero aggredito i partecipanti alla conferenza quando “essi stavano ordinatamente defluendo”.
Ma ci furono anche episodi più gravi, come le ripetute minacce, pistola in mano, compiute da Roberto Gabellini verso giovani studenti democratici.
I nomi degli squadristi riminesi che ricorrono nelle cronache degli scontri sono sempre quelli, tutti militanti del Fronte della Gioventù e del MSI: Nestore Crocesi, Gian Luigi (Gianni) Piacenti, Sesto Pongilupi, Stefano Bascucci, Angelo Scattagia, Remo Arlotti, Giorgio Jommi, Giuseppe Anelli, Roberto Gabellini, il riccionese Giovanni Faggioli, Sergio Bianchi. Tutti iniziarono ad operare all’interno delle scuole riminesi dal ’68 in poi. Quasi sempre presenti nei momenti caldi della seconda metà degli anni ’70 e degli anni ’80, ma nel frattempo molti di questi erano diventati dirigenti politici del MSI, eletti nei Consigli Comunali, non più semplici picchiatori.
Punto di riferimento per molti di questi giovani (oltre a quelli sopra citati, altri provenienti in gran parte dalla media borghesia riminese, una trentina) fu l’avv. Giuseppe Pasquarella (1930-1995), segretario del MSI riminese dal 1977 al 1979. Arrivato a Rimini nel 1968 da Milano, dove nel 1966 era stato arrestato ed espulso dall’Ordine degli Avvocati, in breve tempo con la sua attività di legale si arricchisce, stringe amicizia con Giovannini (torrefazione) e Savioli (alberghi e nights a Riccione). Nel 1970 è denunciato per apologia di fascismo e manifestazione fascista. Federale di Rimini, nella serata del 7 settembre 1977, al termine di una conferenza-dibattito del MSI nel salone del Municipio in Piazza Saffi a Forlì, lanciò la sua autovettura, una Range Rover 2000, contro il numeroso gruppo di extraparlamentari che protestavano, sorvegliati dalla polizia, su un lato della piazza. Arrestato due giorni dopo, il PM al processo in Corte d’Assise a Forlì nel mese di dicembre 1977 chiese otto anni di condanna per tentato omicidio plurimo, ma la sentenza declassò il reato in lesioni volontarie e lo condannò a tre anni e otto mesi di carcere. La vicenda finì anche alla Camera dei Deputati il 30 settembre 1977, con una interrogazione di Pino Romualdi, e la risposta del Sottosegretario di Stato per l’Interno Nicola Lettieri. Pasquarella totalizzò in quel decennio 12 processi per oltraggio, rissa, minacce e ingiurie, lesioni volontarie, detenzione di armi da guerra ed altri reati contenuti nelle denunce a suo carico.
Sede di ritrovo di Pasquarella e dei giovani a lui legati la sede della CISNAL che dava su Piazza Tre Martiri. Segretario di questo sindacato era diventato Roberto Gabellini.
I giornali dell’epoca riportano anche delle violenze subite dai missini: le aggressioni agli esponenti del Fronte della Gioventù Sesto Pongiluppi e Giorgio Jommi nel dicembre 1971; il 12 aprile 1972 venne incendiata l’automobile di Cappelletti, l’aggressione al giovane riccionese del Fronte della Gioventù Renzo Corbelli e del segretario della CISNAL Gabellini ai primi di marzo del 1973.
Si giocava col fuoco, in una guerra a bassa intensità che fortunatamente a Rimini non ebbe gravi conseguenze. Ma è certo che Rimini fu la seconda città della Regione, dopo Bologna, dove le organizzazioni giovanili del MSI ebbero il maggior numero di militanti attivi, disponibili allo scontro. I dirigenti parlavano di una ottantina di giovani “pronti all’azione”. E che ebbero dirigenti che assunsero nel Fronte della Gioventù responsabilità regionali (Sesto Pongiluppi) e nazionali (Gianni Piacenti). I segretari del MSI dell’epoca, Cappelletti e Ricciotti, li difesero e giustificarono sempre, ogni volta che accadevano episodi violenti, per non parlare poi di Pasquarella che spesso partecipava in prima persona agli scontri.
Infine il personaggio Nestore Crocesi (1941-2002). Icona e mito dello squadrismo fascista riminese. Scrive il giornale comunista riminese Il Progresso del 22 aprile 1975: “Arriva alla politica attiva attraverso l’esercizio della violenza contro avversari politici ed insieme ad una serie impressionante di denunce per risse, lesioni, furto aggravato, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, sin dall’inizio degli anni ’60. Assurge a fama nazionale nel ’69 quando il suo nome incomincia ad apparire nella cronaca di violenza squadrista a Milano”.
Il suo nome ricorre in numerose indagini riguardanti i più gravi fatti di sangue legati al terrorismo nero in Italia fra il 1969 e il 1973 e per questi più volte arrestato, ma senza mai una condanna. Alla fine del 1973 venne rimandato a Rimini con obbligo di soggiorno (per un certo periodo). Nella nostra Città il suo nome apparirà ancora più volte nelle cronache, non sempre a ragione: era diventato per la sinistra il nemico fascista numero uno. I dirigenti missini lo hanno sempre difeso, sostenendo la sua innocenza dai fatti più gravi a lui imputati, e parlandone come un politico intelligente e capace. Ma le pesanti ombre che gravavano su di lui gli hanno sempre impedito di assurgere a responsabilità politiche di primo piano nel suo partito o a cariche istituzionali (l’unico incarico in cui venne eletto fu quello di consigliere di quartiere all’INA Casa dal 1980 al 1985).
Lavorò per il tipografo Gattei e poi per diversi anni, sino alla morte, fu il gestore di un ristorantino in Via Soardi.
Per diversi anni, in occasione della ricorrenza della sua morte, il 27 novembre, amici e dirigenti del MSI hanno organizzato una cena per ricordarlo.