Si chiamava Hamdi Ben Hassen, avrebbe compiuto 27 anni a settembre, faceva il meccanico e abitava a Gambellara, una frazione di campagna alle porte di Ravenna, il tunisino alla guida dell’Audi A3 inseguita la scorsa notte da Marina di Ravenna alla città dai carabinieri.
“Vogliamo giustizia. Carabinieri assassini. Italia vergogna”. Ne hanno contati 150 gli uomini della questura, che questa mattina, attorno alle 10.30 hanno seguito il secondo corteo non autorizzato composto principalmente da tunisini, in protesta contro l’uccisione del 27enne Hamdy Ben Hassen, colpito da uno sparo.
Partendo da via Alberoni, i manifestanti, tra cui anche donne connazionali, italiane e di altre nazionalità, hanno dato le spalle alla stazione, andando lungo via Farini e via Diaz in piazza del Popolo. Da qui hanno proseguito fino al tribunale, passando per via Cairoli. Proprio durante il transito degli stranieri, con foto del ragazzo ucciso e cartelli inneggianti democrazia, giustizia e frasi contro l’Arma.
Sono tanti quelli che vogliono parlare quando il corteo raggiunge il tribunale. Mancano pochi minuti a mezzogiorno; i cancelli del palazzo di giustizia si chiudono. Fuori, il gruppo si raduna attorno alle telecamere. “Era un ragazzo giovane, aveva voglia di divertirsi – raccontano gli amici alle telecamere di Romagnanoi.it (guarda il video a fianco) -. Il primo giorno di apertura di Marina di Ravenna era andato a ballare come tutti noi e come tutti voi. Non si voleva fermare per evitare l’arresto e il sequestro della macchina, non aveva la patente. Hanno sparato 14 proiettili per niente”. Tra loro anche il più giovane dei tre, il 25enne Sahmir Saahonoun, che la scorsa notte si trovava seduto nel sedile posteriore dell’Audi A3 condotta da Hamdy. Non parla italiano, traducono gli amici: “Non so quante volte hanno sparato, non ci siamo fermati perchè avevamo paura per la patente. Non avevamo le armi in macchina”. Lui è stato scarcerato, mentre il 34enne Alì Ouertatteni è ancora agli arresti, accusato di aver estratto una delle due pistole rinvenute in auto, poi rivelatesi scacciacani.
“Non vogliamo fare casino, ne spaccare – proseguono -. Andremo in piazza, dormiremo davanti alla prefettura. Manifesteremo tutti i giorni, arriveranno da Bologna, da Milano, tutta l’Italia. Non ce l’abbiamo con gli italiani, vogliamo solo giustizia e verità”.
«Perché siamo qui?» ci spiegano alcuni ragazzi «Per chiedere giustizia. Perché lo conoscevamo e non capiamo cosa possa essere successo, perché sia stato ammazzato». Raccontano di aver passato la serata con i tre ragazzi a bordo dell’Audi in una festa, a un bagno di Marina di Ravenna. «Tutto tranquillo, erano con noi». Negano che i tre potessero avere due pistole giocattolo in macchina e non credono sostanzialmente alla ricostruzione fatta dai carabinieri e riportata dai siti internet durante la giornata.
«Perché scappava? Solo perché non aveva la patente italiana» dice qualcuno. «Perché gliel’avevano ritirata pochi giorni fa» dice un altro. Insomma, l’unico reato, secondo i suoi amici, cugini e in generale connazionali sarebbe stato quello di guidare senza una patente regolare. Non una ragione sufficiente per essere ucciso. «Ci hanno detto che hanno sparato quattordici colpi» aggiunge qualcun altro.
A decine hanno la foto del ragazzo ucciso e alcuni provano ad attaccarle alla porta della Prefettura. E’ allora che un paio di agenti escono e le staccano. Tutti i presenti si alzano allora e come un suol uomo si dirigono verso il portone. Sono momenti di tensione, per fortuna placati dall’abilità degli agenti presenti che, secondo quanto ripotato da testimoni, con cortesia e gentilezza hanno ascoltato le ragioni di chi protestava ed evitato di aizzare gli animi.
Ma in piazza, tra i presenti, la tensione resta alta. Gli altri due, quelli arrestati, dicono, sono innocenti, sono qui da poco. Poi il gruppo, al grido di “assassini” si allontana lungo via Diaz, fino a raggiungere, verso le sette di sera, la zona dei Giardini Speyer e la stazione.