3 marzo 2023 – da chiamacittà
Da alcuni giorni sui giornali è comparsa la notizia che Roberto Savi, 68 anni, il feroce capo della banda della Uno Bianca operante nella nostra Regione fra gli anni Ottanta e Novanta, avrebbe rilasciato circa un anno fa ai giudici della Procura di Bologna una dichiarazione spontanea in cui si attribuisce la responsabilità di alcuni attentati fatti con esplosivi a Rimini nei primi anni ’70. Savi è stato condannato all’ergastolo per 24 omicidi e numerose rapine compiuti in quegli anni. Gli attentati sarebbero stati fatti, sempre secondo Savi, nell’ambito delle attività di movimenti dell’estrema destra riminese.
Il perché Savi, a distanza di cinquanta anni, tiri fuori ora queste vicende rimane un mistero, allo stato dei fatti. Cui prodest? A cosa mira? Ma soprattutto getta luci inquietanti sulle azioni terroristiche-eversive della Banda dell’Uno Bianca perché per la prima volta emergono chiari legami con il mondo della estrema destra, seppure la vicinanza dei Savi a questa realtà fosse cosa nota, in particolare al Fronte della Gioventù.
Nel mio racconto della storia del MSI riminese pubblicato su Chiamamicitta.it qualche mese fa, nella terza puntata (MSI a Rimini: “Ne abbiamo date, ma quante ne abbiamo prese”), in maniera sintetica riepilogavo i tanti episodi violenti accaduti a Rimini in quegli anni, fra il 1969 e il 1975. Per farlo avevo usato il “Dossier sul neofascismo riminese fra il 1969 e il 1975” pubblicato da “Il Progresso”, quindicinale della Federazione Comunista, n. 6 del 22 aprile 1975, in cui veniva dato conto di molte decine di episodi violenti (dalle aggressioni, scontri e violenze fra i militanti di opposte fazioni, più o meno gravi, ad attentati con esplosivi). Si va dalle bombe alla sede del PCI di Riccione nell’estate 1969 e all’incendio doloso della Camera del Lavoro e del PCI di Mondaino, a quelle dell’agosto 1971 alla caserma di polizia di Bellariva e al Grand Hotel di Rimini attribuite genericamente a giovani dell’estrema destra, alla bomba al Palazzo delle Poste il 16 aprile 1975.
Per citare solo gli episodi noti di cui è rimasta traccia sui giornali. Ci piacerebbe molto sapere di quali di questi episodi si è auto-accusato Roberto Savi, assieme a chi e sul mandato di quale responsabile di organizzazione dell’estrema destra riminese. Perché di queste vicende non c’è mai stata una conclusione giudiziaria chiara, con l’indicazione dei responsabili e dell’appartenenza politica.
Il segretario del MSI riminese fra il 1968 e il 1976 fu il romualdiano Italo Ricciotti. Segretari provinciali della Giovane Italia e poi del Fronte della Gioventù furono fra la metà degli anni ’60 alla metà degli anni ’70 Gian Luigi (Gianni) Piacenti, poi Stefano Bascucci e Sesto Pongiluppi. Sarebbe interessante sapere se questi responsabili politici della destra riminese di allora questo Roberto Savi lo hanno conosciuto e frequentato o se i suoi mentori fossero altri della galassia nera dell’estrema destra.
Ad esempio il nuovo “Ordine Nuovo”. Rauti e la maggioranza dei militanti del primo ”Ordine Nuovo” nato dalla scissione del 1959, rientrarono nel MSI nel novembre 1969. Ma esso venne rifondato poco dopo, il 21 dicembre 1969, da Clemente Graziani, Sandro Saccucci e da altri 42 fascisti storici. Fu poi sciolto dal Ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani nel novembre del 1973 per le gravissime accuse mossegli di partecipazione alla stagione del terrorismo nero a livello nazionale. A Rimini, a questo rinato “Ordine Nuovo”, aderirono Giorgio Jommi, Gioenzo Renzi, Sandro Pirani, Roberto Gabellini.
Quello che è certo è che Rimini fu la seconda città della Regione, dopo Bologna, negli anni ’70 e ’80 dove le organizzazioni giovanili del MSI ebbero il maggior numero di militanti attivi, disponibili allo scontro. I dirigenti parlavano di una ottantina di giovani “pronti all’azione”.
Le organizzazioni giovanili del MSI-DN furono comunque la fucina dei gruppi dirigenti di quel partito, poi di AN, sino ai Fratelli d’Italia.
Prima o poi (speriamo però il prima possibile) questa dichiarazione spontanea di Savi sarà resa pubblica nella sua interezza, anche alla luce delle indagini che la Procura bolognese sembra aver avviato. Dopo cinquant’anni è storia, ma potrebbe essere estremamente utile per ricostruire uno dei periodi più turbolenti ed inquietanti della storia politica riminese.
Paolo Zaghini